IN RICORDO DEL NONNO OTTORINO
Domenica 22 febbraio 2015.
Oggi mi sono svegliato un po’ giù di morale. Senza nessun motivo in particolare. A volte capita di sentirsi, come dire, un po’ vuoti. Ieri avevo quasi l’intenzione di andare in montagna: le previsioni meteo promettevano situazioni (forse) interessanti. Tuttavia l’apatia della domenica mattina mi ha fatto desistere. Dopo una mattinata passata tra il letto e la cucina, ho pranzato con la mia famiglia. A tavola mi è venuto in mente che, nella mia vecchia camera, avevo seppellito da qualche parte la vecchia reflex di mio nonno, una splendida Minolta SRT-101, primo tipo (1966).
Mio nonno Ottorino era un grandissimo fotografo, molto conosciuto a livello sia regionale sia nazionale (conservo gelosamente le coppe, le targhe e le medaglie da lui vinte tra gli anni 60 e 80 nei più prestigiosi concorsi di fotografia). La peculiarità del nonno era che, oltre ad essere un ottimo fotografo, veniva considerato anche un bravissimo stampatore. L’armadio alle mie spalle, infatti, contiene, ancora integro e funzionante, un ingranditore Leitz Focomat Ic, compresa tutta l’attrezzatura per una camera oscura “da laboratorio”. In ogni cassetto si trova un’infinità di negativi, ognuno rigorosamente sviluppato in casa. Ricordo, infatti, che nella vecchia residenza dei nonni, Ottorino aveva adibito il magazzino a camera oscura. All’epoca ero ancora troppo piccolo per poter capire cosa stesse facendo lì dentro, chiuso intere ore nella semi oscurità di una tenue lampadina rossa. Ora, che anche io ho sviluppato questa bellissima passione per la fotografia, vorrei poterlo avere ancora qui e sviluppare e stampare e, soprattutto, scattare qualche fotografia assieme.
La grande eredità che mi/ci ha lasciato è, oltre alla sopra menzionata infinità di immagini con le quali potrei organizzare mostre postume da qui all’eternità, una gran quantità di materiale fotografico d’epoca (vintage, si direbbe oggi). Alcuni oggetti hanno un uso abbastanza oscuro, essendo privi di ogni istruzione. Ad altri, come ad esempio una Lubitel biottica (una brutta copia delle Rolleiflex), mancano alcuni pezzi. Ma la Minolta SRT-101 no. Lei è completa e, spero, funzionante.
Qualche anno fa, doveva essere il 2008 se non ricordo male, ho comprato un rullino in bianconero: pellicola Ilford 400 ASA, 36 pose, scadenza 2013. Con quel rullino ho scattato qualche fotografia ma presto la Minolta ha iniziato ad accumulare polvere in un cassetto. Così, oggi, ho ripreso in mano questa splendida macchina, completamente manuale, e l’ho portata a fare un giro. Il contatore degli scatti è fermo a 20 dal 2008. Il cielo plumbeo bene si addice al mio grigio umore, anche se ammetto che l’avere di nuovo tra le mani questo gioiellino degli anni 60, mi ha quasi fatto tornare il sorriso. Infatti esco di casa e c’è il sole.
Salgo in auto e faccio una puntata veloce verso casa mia, giusto il tempo per prendere il treppiede e la reflex digitale. Voglio infatti confrontare la lettura dell’esposimetro “primitivo” della SRT-101 con quella fornita da quello super tecnologico a mille milioni di zone della digitale 6D. Morale: letture praticamente identiche.
Mentre guido verso casa, scelgo la destinazione: Lio Piccolo. Ho voglia di rivedere la laguna, di perdermi tra gli arbusti e guidare per quelle stradine mono-corsia: acqua a sinistra e a destra senza guardrail. Mi fermo diverse volte su quella strada che da Treporti conduce a Mesole o Lio Piccolo. Scatto un po’ di foto con la SRT-101, un po’ con la 6D. E non c’è paragone: il suono metallico della Minolta mi inebria, è una droga. La microvibrazione che mi scuote la pelle delle mani quando premo il pulsante di scatto. Il mistero della pellicola, che non vedi il risultato subito, ma bisognerà aspettare lo sviluppo. L’ottica fissa, un 28 mm, che ti costringe a prestare attenzione all’inquadratura. La messa a fuoco manuale, per la quale uso l’iperfocale e sono a posto. L’esposimetro con batteria quasi scarica, che devo fare affidamento sulla regola del 16. Le 20 pose rimaste… ora 19… ora 18… che ti costringono a pensare prima di premere il bottoncino. Insomma momenti di puro divertimento. E ogni volta che l’otturatore della SRT-101 si apre e chiude, ad ogni strcraaaak del riavvolgimento della pellicola sento una presenza nel mio cuore. E’ come se mio nonno Ottorino fosse lì con me. “Mi raccomando, Marco”, mi disse una volta in campeggio a Cortina quando ero solo un bambino e mi chiese di fare una foto a lui e a mia nonna Maria. “Quando scatti una fotografia tieni presente due cose: una, non tagliare i piedi. Due, guarda attentamente tutta l’immagine che stai inquadrando e non includere elementi come cassonetti, cavi elettrici o pali dell’alta tensione. E’ importante che guardi attentamente prima di scattare”. Non sono sicuro che le parole fossero esattamente queste, ma ricordo bene i due concetti.
Questa è l’unica lezione di fotografia che mi diede il nonno. E credo che, se a distanza di parecchi anni (almeno 25/26) ancora me la ricordo, beh è qualcosa che mi è rimasto in testa. Oggi, mentre tengo in mano quella che fu una delle sue macchine migliori, ripenso a tutto questo e un po’ sono in soggezione. Questa reflex ha scattato delle grandissime immagini, alcune appese in casa mia e dei miei genitori, nonché in chissà quali altre residenze. Scattare con questa SRT-101 è senz’altro un onore.
Parcheggio l’auto su una piazzola, indosso gli stivali e, zaino alla mano, mi dirigo verso una zona imprecisata. Qui c’ero stato qualche anno fa ma non tirai fuori grandi immagini. Nemmeno oggi è quello l’intento. Oggi voglio passare un po’ di tempo con mio nonno. Trovo un luogo carino dal quale poter attendere il tramonto, così scatto qualche immagine sia la con la digitale sia con la Minolta. Man mano che passano i minuti l’aria si pulisce e in alto, allo zenit, inizia a comparire anche un filo di azzurro, per ora piuttosto spento. Non sarà un gran tramonto, penso tra me e me. Poco male.
All’orizzonte le nubi mi sembrano abbastanza compatte e, un volta che il sole scende dietro quella tendina di nuvole, le speranze di una buona luce svaniscono. Effettuo qualche lunga esposizione, anche con l’aiuto del filtro ND da 10 stops. Voglio osare e ripeto l’esperimento anche con la Minolta. Sono curioso di vedere il risultato finale. Conclusa questa sessione, decido che potrei avviarmi verso l’auto: ormai è tutto finito. Tuttavia l’istinto o, se vogliamo chiamarla una sensazione, mi suggerisce di scendere i pietroni che conducono all’acqua: non so nemmeno io il motivo per il quale non mi decido ad andarmene. Così, senza alcuna macchina fotografica tra le mani, scendo fino al pelo dell’acqua. Volgo lo sguardo verso le montagne: il cielo in alto è di un blu/grigio (vi sono alcuni strati di nuvole), più in basso è arancio e le montagne iniziano a colorarsi di rosso. A quel punto inizio a maledire la mia pigrizia per non essere andato sulle Dolomiti. Mi maledico anche per un altro motivo: ho lasciato volutamente a casa il teleobiettivo, sia quello per la 6D sia quello per la Minolta. La lente più lunga che ho è il 100 mm macro, che posso montare solamente sulla digitale.
Per cui risalgo velocemente i sassi, cambio in fretta l’obiettivo e ridiscendo. Scatto qualche fotografia alle montagne ma presto mi accorgo che lo spettacolo è altrove. All’orizzonte, in corrispondenza del tramonto del sole, il cielo sta lentamente assumendo delle pennellate di rosso. Putroppo la focale fissa di 100 mm (e i diversi chilometri di acqua) non mi permettono riprese ravvicinate. Man mano che passano i minuti, il cielo si infuoca sempre più. Sto scattando senza treppiede, non c’è tempo di risalire e piazzarsi. Devo alzare gli ISO per non incorrere nel mosso. L’atmosfera ora è veramente strana e, quasi, surreale: in corrispondenza dell’orizzonte il cielo è rosso fuoco, mentre più in alto è quasi grigio. Questa corrispondenza di colori si ripete sull’acqua, increspata da piccole onde causate da una leggera brezza invernale.
Decido per una composizione che escluda la parte alta del cielo ma, al tempo stesso, includa il grigiore dell’acqua. Il cielo è separato dalla laguna da una striscia di terra sulla quale galleggiano un campanile storto (presumo sia quello di Burano), le gru e ciminiere di Porto Marghera, le flebili luci di qualche strada e, ancora più in fondo, l’inconfondibile profilo dei Colli Euganei.
Questa immagine, nella sua semplicità, mi ha fatto ricordare quanto sia straordinaria la fotografia. Dopotutto, non si tratta forse di rendere eterno un istante? Non è forse trasmettere una grande emozione? Mi rammarico soltanto di non aver ripreso questa fantastica scena con la Minolta. Mi piace però pensare che in questo bellissimo regalo che mi ha fatto la Natura questa sera, vi sia anche un po’ della felicità di nonno Ottorino che, abbracciato assieme a nonna Maria, da lassù vede finalmente la sua SRT-101 tornare alla luce.
Mi hai trascinato con te in quel tramonto…complimenti.
Clap clap clap…la sintesi della fotografia sta in questo post.
Ciao Marco,
grazie per aver speso un po’ del tuo tempo su queste pagine. Sono contento che il racconto abbia scaturito qualche emozione.
Ciao,
MD