Riflessioni a piede libero sul perché mi ostino a fotografare il paesaggio – e tutte le fatiche che ci stanno dietro.
Spesso la maggioranza delle persone, osservando le mie fotografie o quelle di altri colleghi paesaggisti, non si pone il problema di cosa sta dietro all’immagine. Per quanto banale possa essere, un tramonto dal cielo piatto in montagna, non sempre è frutto di un’azione di “punta e scatta”. Non sempre viene scattata da luoghi di facile accesso e, soprattutto, è necessario attendere l’ora in cui il sole tramonta per poter ottenere l’effetto di luce radente che cerco nelle mie immagini.
Per chi non è avvezzo alla vita in montagna o non ne conosce i ritmi, è difficile credere che i colori riprodotti dalle stampe o dal monitor siano reali. “Eh, voi ora con Photoshop avete la vita semplice”, mi dicono in molti. “Si vede che queste fotografie sono ritoccate, io non ho mai visto questi colori”. A questo punto solitamente interrompo la conversazione e pongo al mio interlocutore una semplice domanda: “Mi dica, lei ha mai trascorso il tramonto su un remoto lago alpino ad almeno 2/3 ore di camminata dalla strada più vicina?”
Sentendo i miei racconti, poi, la domanda che mi viene posta più spesso è “ma chi te l’ha fatto fare”? Ebbene, credo che la risposta a questa domanda sia assolutamente soggettiva e ogni fotografo paesaggista – o che tal si definisce – può trovarne una. In questo articolo cercherò di rispondere secondo le mie sensazioni.
Uno dei motivi che mi spingono in questa continua ricerca del paesaggio è dettato dal fascino dell’incognito, dell’inesplorato, dell’inaspettato. Ogni paesaggista sa bene che le aspettative, in questo “mestiere”, sono ciò che più ci rovina. Rischiamo in continuazione di venire delusi – e la maggior parte delle volte accade proprio questo: la nuvoletta che si mette davanti al Sole proprio nel momento X, una perturbazione in anticipo piuttosto che in ritardo rispetto alle previsioni meteo, le schiarite previste che mai arrivano, pioggia pesante laddove prevista neve, condizioni del luogo totalmente diverse rispetto a quanto immaginato o a come di norma dovrebbero essere in quella specifica stagione. Soltanto alcuni pochi esempi di quella che personalmente definisco “delusione paesaggistica”.
Tuttavia in tutto questo “caos dell’incontrollabile” c’è dell’affascinante mistero. Fin che non si è sul posto, pronti allo scatto con il cavalletto e tutta l’attrezzatura al seguito, è impossibile stabilire come andrà a finire (o a cominciare) la giornata. C’è sempre un piccolo fuocherello che arde nel cuore, una flebile fiamma di entusiasmo, un guizzo di adrenalina, una minuscola speranza che vi sia quel tanto agognato, sudato e, perché no, meritato raggio di luce “risolutivo”, come lo definiva Tolkien in Lo Hobbit. La maggior parte delle volte, l’attesa di questo raggio risolutivo è snervante, frustrante e soprattutto inconcludente. Lo sappiamo bene, noi paesaggisti, che sacrifichiamo gran parte del nostro tempo libero alla ricerca di questo momento. Lo sappiamo bene noi che ci facciamo centinaia di chilometri in auto, decine di chilometri a piedi, spesso in condizioni proibitive (al buio, al freddo, con pioggia sferzante, neve, fango, vento…) e con considerevoli pesi sulle spalle (attrezzatura fotografica, tende, fornelli, sacchi a pelo e quant’altro), centinaia di metri di dislivello sui monti, ore infinite di attesa a volte con seri rischi di ipotermia. Nel 90% dei casi, il raggio risolutivo non arriva e non ci resta altro che tornare a casa con una serie di immagini di scarso interesse – perché, poi, quando si è demoralizzati cala anche l’ispirazione e viene meno la capacità creativa di produrre ugualmente qualcosa che si avvicini alla meno peggio all’artistico.
Esempio di raggio risolutivo. Nebbie autunnali sul Cansiglio
Fortunatamente, però, c’è quel 10% che rappresenta la motivazione principale per la quale, ancora oggi dopo anni, continuo ad intestardirmi con la Natura, con il caos, con l’incontrollabile. Perché il raggio risolutivo quando si fa vedere mi ripaga dell’altro 90% andato male.