La strada per la costa di Anaga si arrampica sinuosa per le alte colline nella parte settentrionale di Tenerife. Salendo tra tornanti e curve strette mi sembra di essere sulle mie adorate montagne. Seconda, terza, acceleratore, scalo ancora in seconda, via il piede dall’acceleratore, tornante in destra. In salita non si frena. Una decina di chilometri più avanti, poco sotto le cime boscose di queste strane montagne, c’è una galleria che collega i due versanti. Il sud, dove splende sempre il sole e la domenica sera i canari si ritrovano nei chioschi in spiaggia a sorseggiare mojito e a ballare musica latina. E poi c’è il nord, spesso coperto dal mar de nubes a causa dei venti Alisei provenienti dall’Atlantico, dove i villaggi costieri sono stati costruiti spesso in luoghi impervi e le spiagge non sono altro che baie naturali di sabbia nera come la notte sormontate dai picchi aguzzi delle montagne di Anaga.
Al termine della galleria si ha come un sussulto, che è un misto di eccitazione ed angoscia. La strada corre su uno stretto crinale con paurosi vuoti da entrambi i lati e scende rapidamente in direzione dell’oceano infinito. Siamo attorno ai mille metri d’altitudine e questo è il regno della laurisilva e della nebbia. Se tuttavia la giornata lo consente, la veduta che si ha da questo punto è qualcosa che difficilmente si può dimenticare. E’ una lingua di asfalto che vola verso l’Atlantico. Poco più avanti, uno stretto tornante in sinistra aggira il crinale, ed ora la strada punta dritta verso la montagna. In prossimità del tornante è stato predisposto un ampio parcheggio da dove è possibile sostare per guardare il mare, le montagne e, laggiù in fondo, i piccoli villaggi abitati dalle genti del luogo.
Questi monti, che ora sono ricoperti da una florida vegetazione, costituiscono la parte più antica dell’isola. Qui, in un tempo diverso da quello che gli uomini conoscono, la terra primordiale respirava inquieta e con il suo alito lavico costruiva e distruggeva isole e continenti. Calmatasi, li ha poi plasmati utilizzando il tempo come martello e il vento come scalpello, la pioggia come levigatrice e il ghiaccio come fresa. E’ così che sono nate le montagne di Anaga e la ragione per cui sono così rigogliose e ricche di piante e di animali selvatici è proprio da ricercarsi nella loro enorme età. Viene difficile, per noi, immaginare come fosse questo posto all’epoca della sua nascita. E forse, tra qualche milione di anni, anche il paesaggio desertico e desolato del Teide sarà ricoperto interamente da foreste verdi e umide.
Mi perdo in questi pensieri mentre osservo la luce del pomeriggio filtrare tra le nuvole. Essa crea dei disegni singolari sulla superficie dell’oceano, come macchie d’olio sull’asfalto bagnato. Ne approfitto per scattare qualche fotografia, come ricordo di questo bel momento e la luce inizia a farsi interessante. Dopo tutto, non manca molto alla puesta del sol. Sono assieme a Matteo, un mio carissimo amico che si trova a Tenerife per lavoro. All’epoca del viaggio, Matteo faceva il ricercatore presso l’Istituto di Astrofisica delle Canarie (IAC), dopo aver conseguito il dottorato di ricerca in Astronomia all’Università di Padova. È li che ci siamo conosciuti, diciassette anno fa. Ora lavora presso l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) vicino a Madrid e quando posso vado a trovarlo. Ci conosciamo bene e ad entrambi piace divertirci, fare escursioni, qualche foto, e attendere il tramonto in luoghi di inimmaginabile bellezza.
Come questa sera, che si preannuncia memorabile.
Riprendiamo l’auto e in pochi minuti attraversiamo il villaggio di Taganana, uno dei più grandi della zona. Svoltiamo in sinistra per la strada costiera in direzione nord. Dopo aver raggiunto quasi il livello del mare, si inizia nuovamente a salire. E’ una strada dannatamente bella. L’impressionante parete di roccia giallastra sulla destra, l’Oceano a sinistra e la luce della sera negli occhi, dritta al cuore.
Decidiamo di fermarci presso la località delle Roques de las Bodegas, qualche chilometro prima della più scenografica Playa del Benijo. Ormai ci siamo e la luce sta diventando perfetta. Piove, anche. Probabilmente, se fossi su una barca, al largo, e guardassi verso la costa, vedrei un bell’arcobaleno. Mi piace pensare di essere proprio lì, sotto, dove la luce si divide e cominciano i colori.
Il mare è mosso, le onde invadono la terra sommergendo di tanto in tanto le gambe del treppiede su cui è montata la macchina fotografica. In questo preciso punto la sabbia ha lasciato spazio a grossi sassi neri, che brillano nella luce rosata come cristalli incastonati in una profonda grotta ed illuminati dalla fioca luce di una candela. Appena il Sole sparisce al di sotto dell’orizzonte, le nuvole, che prima erano cariche di pioggia, ora sembrano uscire da una tela di Monet e il cielo sopra le montagne diventa rosa. Decido di scattare un qualche fotografia, ma solo per conservarle come il ricordo di un momento speciale.
Tenerife, Roques de las Bodegas, giugno 2016