Di questa escursione ricordo bene due cose: la fatica e la quiete. Era giugno del 2012 e all’epoca non ero un granché in forma.
Qualche mese prima lessi su un libro una relazione di un’escursione e, tra le immagini illustrative, ve n’era una che raffigurava un piccolo specchio d’acqua con un tronco in primo piano. L’escursione sarebbe poi continuata verso una forcella e giù dall’altra parte. Ma io rimasi fermo a quel lago. Mi si accese una lampadina e cercai in rete se ci fossero altre immagini di quel luogo. Qualcuna c’era, ovviamente, ma nessuna che gli rendesse onore. Decisi che ci sarei andato alla prima occasione. A quei tempi ero parecchio fissato con i laghi alpini quindi davvero non stavo nella pelle.
Durante l’attesa mi misi perfino a fare alcuni esercizi per rafforzare la muscolatura: d’altra parte sarebbero stati quasi mille metri di dislivello ed erano parecchi anni che non facevo una salita simile. Proposi l’idea a Rino che accettò senza pensarci due volte: si parte.
Era il 16 giugno che imboccammo il sentiero verso la nostra destinazione. La traccia iniziò subito con una pendenza importante, giusto per mettere in chiaro come sarebbe stata per le tre ore successive. A furia di leggerla avevo imparato la relazione a memoria e a ogni angolo riuscivo a riconoscere quanto descritto nella guida. “Ecco il torrente”, pensavo. “Ora ci dovrebbe essere una piccola cascata”, dicevo tra me e me. E infatti eccola lì, la cascata.
Io e Rino procedevamo lenti, carichi com’eravamo di attrezzatura e viveri. Avevo da poco acquistato uno zaino fotografico da montagna (che uso tuttora) e quella mi sembrava un’ottima occasione per metterlo alla prova. Avanzammo così per circa tre ore, con tratti di sentiero decisamente ripidi alternati ad altri in falso piano.
E infine, stravolto dalla fatica, vidi lo specchio d’acqua tanto sognato. Era persino più bello di come me lo immaginavo. La quiete era totale, non c’era anima viva e questo luogo di pace era tutto per noi. Dai calcoli che avevo fatto, sembrava che al tramonto la luce dovesse colpire esattamente le pareti di dolomia sopra il lago. In quella stagione i raggi passavano esattamente in mezzo alla gola e sarebbe stato uno spettacolo. Arrivammo al lago attorno alle 18 ma il tramonto sarebbe stato almeno tre ore più tardi, quindi c’era tutto il tempo per rilassarsi e iniziare a capire dove posizionarsi. Le nuvole sopra le cime creavano il giusto contrasto e speravo tanto che rimanessero.
Ovviamente le cose non vanno mai come uno desidera. Pochi minuti prima del momento fatidico, una grossa coltre di nuvole si posizionò a ovest, proprio dove sarebbe dovuto tramontare il sole. La conseguenza era facilmente immaginabile: cielo piatto sopra le cime che sarebbero rimaste in ombra. E così fu, infatti. Un caso fortuito, forse un gesto di pietà nei nostri confronti, volle che alle 20.48 uno spiraglio di luce si fece largo tra le nuvole e colpì la parte bassa della croda antistante.
Non era molto, ma è bastato per rientrare a casa con un’immagine “nuova” del lago. Questa è la fotografia di quel momento. Dimenticata e ritrovata.