“Non si scatta una fotografia, la si crea”.
A regalarci queste superbe parole era un certo Ansel Adams, colui che, possiamo dirlo, ha di fatto re-inventato in chiave moderna la fotografia di paesaggio. E lo ha fatto negli anni ’20 del novecento, lasciandoci quelle iconiche immagini, rigorosamente e orgogliosamente in bianconero, che ancora oggi nessuno ha la capacità di ripetere.
Mi ci è voluto qualche tempo per digerire questa semplice frase, che all’apparenza sembra una citazione come un’altra del grande fotografo americano. Ma in realtà essa nasconde una verità molto più profonda, quasi al limite del filosofico. Dopo molto pensare a proposito del suo significato sono arrivato a una conclusione: una buona fotografia non avviene mai per caso. Ma soprattutto: la fotografia è una cosa seria.
Una buona foto è la punta dell’iceberg di un processo creativo, iniziato ben prima di premere l’otturatore. E’ qualcosa che inizia nella nostra testa, un’idea che si fa largo piano piano e crea emozioni. All’inizio tutto è irrazionale: c’è una visione, una sorta di apparizione visiva che ci colpisce.
Poi si passa alla fase più razionale: bisogna pianificare le nostre azioni affinché l’obiettivo non viene raggiunto. Quindi inizia la progettazione della foto, dalla scelta del luogo adatto passando per la decisione di quando andarci. In estate? Autunno? Di giorno o di notte? Alba o tramonto? Con una bella giornata o sotto una burrasca di neve? A gran parte delle domande spesso ci sono già le risposte, mentre per altre è necessario cercare dentro se stessi.
Ma nella fotografia di paesaggio non è affatto scontato che, anche dopo aver messo in pratica tutte le azioni pianificate, la fotografia risultante rispecchi l’idea originaria. Anzi, la maggior parte delle volte non è cosi e sono necessari molti altri tentativi prima di riuscire a trasferire la propria visione in un’immagine. Più raramente, invece, tutto si combina in modo perfetto al primo colpo. In questi casi molti potrebbero parlare di fortuna o di buona sorte. Io invece dico che la fortuna c’entra solo fino ad un certo punto.
Perché bisogna essere lì, con il treppiede piantato nella neve, sotto una bufera improvvisa, dopo un’estenuante camminata di centinaia di metri di dislivello su terreno vergine senza alcuna traccia. Bisogna essere li, dopo aver portato per ore tutto il peso dell’attrezzatura. Bisogna essere lì, fiduciosi che la natura possa regalare qualche sorpresa ma anche preparati ad affrontare l’ennesima delusione. Insomma, la fortuna, se vogliamo chiamarla così, va cercata.
E poi ci sono casi come quello di questa foto. Casi in cui la meta finale era ancora lontana, qualche centinaio di metri più sopra. Momenti in cui ci si deve fermare per rifiatare, dopo un’estenuante salita nella neve fresca quando, ad ogni passo, la ciaspola alza più neve di quanta le gambe ne possano sopportare. Bisogna respirare, fare una pausa, ossigenare mente e corpo. E basta voltarsi per guardare il percorso appena fatto, senza badare troppo a quello che ancora manca. E così, con lo sguardo rivolto verso il fondo valle, ci si accorge che sta avvenendo qualcosa. Tutto accade velocemente: per qualche istante le nuvole si diradano e lasciano intravvedere la montagna, il Cristallo. Una visione che dura giusto il tempo di trovare l’inquadratura giusta. E bisognava essere lì, in quell’istante, per poter assistere a questa meraviglia improvvisa.
Canon EOS 5Ds R | Canon EF 24-105 f/4L @ 32mm | f/8 | 1/250 s | ISO 100